Una volta che abbiamo consapevolezza di ciò che è vivo in noi, allora e solo allora possiamo fare qualcosa per rendere la nostra vita più ricca e piena. Ma a cosa ci riferiamo quando parliamo di “ciò che è vivo in noi’? Sotto gli strati delle maschere che indossiamo, sotto la violenza delle parole e talvolta delle nostre reazioni c’è un senso più profondo, una verità.

Secondo i principi della comunicazione non violenta (CNV) di Marshal Rosemberg “Ciò che è vivo (in una persona) è fondamentalmente due cose: ciò che la persona sente e come i suoi sentimenti sono collegati ai suoi bisogni.”

In ogni momento abbiamo esigenze, bisogni che chiedono di essere soddisfatti. Quando questi bisogni non vengono soddisfatti si creano le condizioni per lo squilibrio, per l’infelicità, per il conflitto. Il conflitto può essere interiore o può prodursi nella relazione con l’altro.

Così accade che fin da piccoli impariamo a manifestare con la rabbia quella sensazione di insoddisfazione che scaturisce da uno dei nostri bisogni non soddisfatti. Così accade che scambiamo lo stimolo per la causa, pensiamo che qualcuno ci faccia arrabbiare, che una certa situazione ci faccia reagire. Ma la realtà è diversa.

Non essendo in contatto con ciò che davvero abbiamo bisogno di ottenere, costruiamo nella nostra mente un linguaggio fatto di assunzioni, di giudizi. Incolpiamo gli altri di volerci togliere, limitare, giudicare. Cerchiamo fuori da noi la ragione per la quale stiamo provando quella brutta emozione che non vorremmo provare oppure che non riusciamo a dominare. È a questo che reagiamo. Alla violenza che pensiamo di subire. Difficilmente ci asteniamo dall’attribuire alle azioni altrui un significato filtrato attraverso le nostre lenti.

Se potessimo chiederci anche solo solo per un momento: cosa mi disturba davvero di quella persona o di quella situazione? Sicuramente solo pochissimi tra noi sarebbero in grado di dirlo senza contemporaneamente esprimere un giudizio. Ad esempio diremmo “mi disturba che sia sempre egoista” invece che descrivere la situazione per come si è  presentata. Cosa ha fatto quella persona? Sono in grado di dirlo senza esprimere una valutazione mentre lo faccio? Probabilmente ci renderemmo conto che limitarci a questo è difficilissimo. 

Tuttavia, se potessimo prenderci un secondo e chiederci: cosa ha sollecitato in me un risposta di rabbia o fastidio? Che tipo di valutazione ho fatto di quanto è accaduto? Perché il fatto accaduto è sicuramente lo stimolo ma non la causa. Quando quella persona fa quella certa cosa soffermiamoci a osservare la qualità dei nostri pensieri. Verificheremo velocemente che per prima cosa la nostra mente avrà etichettato quella situazione, giudicandola. Poi verrà la reazione.

Cosa accadrebbe se riuscissimo a cogliere la nostra reazione e a guardarla con curiosità e interesse? Cosa scopriremmo se potessimo concederci il lusso di non reagire a quello stimolo automaticamente ma chiederci cosa c’è sotto? 

La rabbia e la violenza sono strati che proteggono altro. Quale nostro bisogno non è soddisfatto dalle situazioni/relazioni che viviamo? Cosa arde sotto la cenere che è bene vedere? 

La consapevolezza  è alla base di una vita libera e connessa. Una vita che parla un linguaggio che è fondamentalmente quello dei sentimenti e dei bisogni. 

In ogni momento della  vita abbiamo bisogni che richiedono di essere ascoltati e soddisfatti. I nostri sentimenti dipendono essenzialmente da questo. Le nostre emozioni sono spie di funzionamento, ci indicano dove guardare per capire cosa davvero non va.


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